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10:words

novembre 8, 2007

In questi mesi in ristorante ho imparato un pò di parole nuove che non hanno niente a che fare con l’inglese. Siccome non sarò sicuramente né il primo né l’ultimo italiano a lavorare con Giapponesi, Cinesi, Koreani, Malesi, Thailandesi etc e siccome fa sempre comodo conoscere altre lingue ecco un minuscolo vocabolario per ogni evenienza in ristorante e non.

Giapponese

Sei nel mezzo di un busy friday night, la campanella dalla cucina suona per l’ennesima volta, ti presenti davanti ai cuochi strisciando i piedi perchè ormai sei a pezzi, il dishwasher giapponese, tuo amico di bevute post shift, si gira e ti chiede:
“Daijobu?”
se è tutto ok puoi rispondere:
“Daijobu, daijobu”
se invece in sala è un casino totale, e non ce la fai più, la risposta, da dare in tono schifato, è:
“Dammée”
se invece è tutto ok, ma sei un pò stanco, dirai, storcendo un pochettino il naso:
“Mmm, Tzikaretta”

Sempre nel bel mezzo di questo fucking busy friday night può capitare che te ne vada in cucina giusto per dare uno sguardo, per vedere se sta arrivando qualche piatto e sveltire il servizio, e che ti passi davanti un piatto che sembra perfettamente pronto per essere servito, e che non resista alla voglia di prenderlo tra le mani per poi andare a portarlo in sala. A quel punto lo chef si girerà di scatto e guardandoti di traverso ti dirà:
“Ciotto Matte”
merda, stavi sbagliando completamente il tempo, lo chef ti ha appena detto che c’è da aspettare un attimo. Se invece allo sguardo di traverso si sommerà anche un impercettibile cenno di assenso allora lo chef dirà sicuramente:
“Yoroshiku”
che vuol dire: prego, vai pure, il piatto è pronto. Al quel punto se vuoi fare il figo gli puoi ripsondere:
“Haé”
che è una specie di grazie detto alla svelta. Ma metti che in cucina ci sia tanto casino da non riuscire a sentire se ti è stato appena detto “yoroshiku” o “ciotto matte”, bhè l’unica soluzione in quel caso è fissare lo chef, arricciare il naso e dire:
“Nanì?”
ossia: What?. A quel punto lo chef ti ripeterà quello che aveva appena detto, oppure userà la sua parola di inglese preferita: FUCK.

Se ti capita di andare a cena con dei giapponesi in un ristorante giapponese ci son un paio di paroline magiche da usare per far bella figura. La prima ovviamente è il buon appetito, ossia:
“Itatakimas”
Poi c’è l’apprezzamento su quanto è buono il cibo:
“Meccia umai”
che vuol dire molto buono appunto. Il “Meccia” poi si usa in un sacco di situazioni diverse. Ad esempio quando vai dal sushi chef con una comanda, e picchi con il dito sulla parte del foglietto dove c’è il numero dei coperti, e fai cenno d’assenso con il capo, e poi lui ti chiede, già sapendo la risposta, se sono ragazze carine, allora gli risponderai, quasi morsicandoti il labbro:
“Mecciaaa”
con quella semplice parola gli hai appena detto che quelle sedute al tavolo sono delle strafighe, che passerai tutto il tempo in sala a guardarle e che lui non scoprirà mai se lo hai preso per il culo o meno perchè per le prossime tre ore se ne deve stare li a guardare il suo sushi bar.
Comunque tornando alla cena con gli amici giapponesi alla fine di tutto bisogna dire:
“Goizosamadescta”
a cui bisognerebbe poi rispondere
“Gozò” o “Haé”, adesso non mi ricordo quale delle due. In realtà questo ultimo “Goizosamdescta” non so veramente se sia appropriato per il ristorante, perchè il senso della parola è quello di ringraziare per aver avuto quel pasto, e allo stesso tempo ringraziare chi lo ha cucinato (almeno questo è come la ho capita io), quindi non son sicuro se in ristorante funzioni o meno.

Poi c’è :
“Arigato gosaimas!”
non ha bisogno di commenti, si tratta di un grazie da usare a ripetizione in qualsiasi situazione.

Se poi lavori in un ristorante giapponese, ma credo vada per qualsiasi tipo di lavoro, allora c’è una parola magica da dire al termine della serata. A momenti mi sembra che tutto lo shift sia basato solo su quella parola e che la gente lavori unicamente per dirla a fine turno. La parola magica è:
“Oskaresamadescta”
che più o meno vuol dire grazie di aver lavorato. Funziona così: a fine shift, con sala vuota, luci della cucina spente e tutti che inziano a cambiarsi, nel ristorante di colpo inizia a riecheggiare solo questa parola: oskaresamadescta, oskaresamadescta, oskaresamadescta…senza fine, tutti che la dicono a tutti, chef a camerieri, lavapiatti a manager, ininterrottamente finchè, ormai da un bel pezzo fuori dal ristorante, non si sale sul bus o si gira l’angolo per prendere la metro, e anche lì l’ultimo saluto non sarà “see you tomorrow”, ma per l’ultima volta: OSKARESAMADESCTA!