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luglio 22, 2007

Tra i vari clienti fissi che ci sono in ristorante ce ne è uno più fisso di tutti. E’ una signora che viene almeno due volte alla settimana e che ogni volta telefona per prenotare lo stesso tavolo. Si chiama Lucy Heller. O meglio si dovrebbe chiamare Lucy Heller, visto che ogni volta, a seconda di chi riceve la telefonata della prenotazione, il nome cambia.

Ecco alcune tra le mille variazioni sul tema che ho recuperato nell’agenda del ristorante:

Lucy Heller

Luci Heller

Lusy Heller

Susy Heller

Susi Heller

Lucy Eller

Lucy Helle

Lucy Hele

Lucy Hiller

Lucy Hile

Lucy Haller

Lucy Hallir

…..

poi ci sarebbero tutte le commutazioni di nome e cognome sbagliati contemporaneamente, ma quelle le lascio stare. Ovviamente nessuno dello staff potrebbe lavorare all’anagrafe, non immagino che casini faremmo.

Comunque alla fine la signora che viene a pranzare è sempre la stessa, e lascia anche buone mance.

Grazie Lucy! … o Lusy, o Susi, o…

#:spelling.1

luglio 19, 2007

Qualche mese fa ho iniziato la trafila burocratica per ottenere il National Insurance Number, in pratica si tratta del numero di previdenza sociale su cui poi vengono versate le tasse. Niente di eccezionale: fai un paio di telefonate, aspetti qualche settimana, fai un colloquio, aspetti qualche altra settimana e poi ricevi un numerino di una decina di cifre.

La prima cosa da fare è chiamare l’ufficio di collocamento per dare i tuoi dati e fissare un appuntamento.

Ovviamente quando fai una telefonata in inglese non sai mai cosa potrà saltarne fuori e soprattutto non sai se la persona dall’altro lato sarà così paziente da ascoltare due o tre “sorry, could you repeat please?” una di fila all’altro tipo disco incantato quando il traduttore inglese-italiano dentro il tuo cervello smette di funzionare. Ma forte delle centinaia di telefonate ricevute in ristorante ho preso il telefono e ho fatto la fatidica chiamata. Bhè questa volta la persona dall’altro lato era gentilissima, talmente gentile che forse se le avessi recitato una poesia composta solo da “sorry, could you repeat please” mi avrebbe chiesto anche il bis, e infatti la telefonata è filata liscia per tutta la parte iniziale, poi però il mio inglese ha avuto un buco, un buco gigante, praticamente un buco nero.

“…that’s ok, so now I need your name ”

“yes, my name is Marco”

“ok, and your surname. And could you spell it, please”

“yes, my surname is P as…………..P as………………P as………………..”

P come cosa? P come pericolo, P come puzza, P come piede, P come qualsiasi cosa che inizi con la P…..il fatto che per me è sempre stato P come Palermo, ma cosa ne poteva sapere la tipa al telefono di Palermo? Bho. Probabilmente tutto, probabilmente ha passato gli ultimi tre anni a fare le vacanze in Sicilia, probabilmente ha sposato un siciliano e lui non fa che raccontarle storie sulla sua isola, ma probabilmente non ne sapeva niente. Siccome contemporaneamente ho iniziato a pensare a tutto questo e a cercare di ricordare una parola inglese che iniziasse per P ho fatto un gran casino e ho iniziato a ripetere “P as…” per cercare di prendere tempo, troppo tempo.

Alla fine la signora dall’altro lato è stata così gentile da sbloccare la situazione proponendomi lei la parola giusta:

“Sorry, maybe P as…PIZZA?”

6:flashback

luglio 8, 2007

A fine Marzo ero ormai stufo di vivere in casa di Itala. Stufo di sentire: “non cucinare dopo le dieci di sera”, “non abbrustolire il pane nel tostapane”, “non usare troppo il computer che consuma”, “vuoi giocare a carte con noi? tranquillo non giochiamo a soldi”, “vuoi venire a ballare il liscio con noi? tranquillo non facciamo tardi”… e così via.

Per fortuna che in casa c’era Luigi il coinquilino di Roma.

Di solito quando riuscivamo a pranzare assieme passavamo il tempo a complottare lo sfratto di Itala dalla sua casa, incluso il suo cane, e a dirci se avevamo trovato nuovi annunci di case da andare a vedere.

“Luì, di pomeriggio vado a vedere una singola a Bethnal Green, 80£ a settimana in un appartamento con sole ragazze, nell’annuncio c’era scritto: share with three swedish girls in their early 20s”

“Davero?”

“Così diceva l’annucio, poi stasera si vede”

“O se me capita amme ‘na casa così faccio ‘na stragge”

Iniziamo a mangiare, ma Luigi continua a pensare alla casa che devo andar a vedere di pomeriggio. Di colpo si blocca, prende il cellulare e inizia una chiamata. Io gli chiedo chi sta chiamando. Lui alza la mano e mi dice di aspettare un attimo.

“Yes, hello, aim Luigi, looching for singol, singol ruum…yes, wot, sorry, cud iu ripit plis…sorry, wot? mmm, meibi the mobile is not worching well…cud i take a luch at the ruum, tonight, wot? i cant anderstend…weit, weit, i pass my friend, weit one second plis!”

” A Mà, famme er piacere, parlace te che non ce sto a capì nniente, me sa che questa ar telefono nun è inglese…”

Alla fine ognuno riusciva ad organizzare un appuntamento per vedere una nuova stanza, ma non concludevamo mai nulla. Le stanze erano quasi sempre pessime e le ragazze in “their early 20s” stranamente si erano sempre appena trasferite un altro appartamento, così ci si rincontrava a casa la notte dopo lavoro a raccontarsi quanto erano brutte le stanze viste.

Un pomeriggio andando a lavoro mi squilla il cellulare. E’ Luigi.

“A Mà, me ne vado! Me ne vado!!!”

“Dove te ne devi andare?”

“Sò libbero! Ho trovato ‘na singola che me va bbene, e nell’appartamento ce stanno anche du spagnole, me ce trasferisco domattina! O’ se vedemo a casa stanotte che te dico, mo scappo a lavorà anchio. Ciao Mà.”

Alla fine a furia di cercare Luigi aveva trovato una singola decente, grande e in un appartamento con altri ragazzi, un pò a casino magari, ma accettabile. Quando Itala a saputo che Luigi andava via di punto in bianco, perchè qui capita che i traslochi si facciano nel giro di 24ore, le è venuto un mezzo attacco d’ansia. Non che fosse dispiaciuta del fatto che Luigi andasse via, è che l’indomani lui le avrebbe dovuto pagare la settimana di affitto… . Comunque lei non è che stravedesse per Luigi, il loro rapporto era una comica, racconto solo una delle mille scenette che combinavano.

Una volta Itala ha detto una delle sue massime “Luigi, il piatto della cucina così non va bene, dopo che cucini lo devi lasciare più pulito”. Il giorno dopo io e Luigi eravamo in cucina, lui stava mettendo a posto i piatti usati e ripulendo la cucina. Casualmente Itala è entrata nella stanza proprio in quel momento. Luigi allora ha iniziato:

“A Mà, anvedi quanto è pulito sto piatto de a cucina, mò sta a brillà, ‘ho pulito così bbene che se potemo magna ssopra. A segnò, venga a guardà, che così va bbene? Se se mettomo a venne sta cucina credono che è nova. A Mà, ma che tu ‘o pulisci così er piatto de a cucina? Eh? A segnò, eh, ie dica quarcosa pur ‘a lui, che in sta casa ce sto a pensà solo io a pulì er piatto de a cucina. A segnò, ma ‘ndo va, aspettà aspé, va bbho… se vedemo segnò. ”

Così via con un’infinità di variazioni sullo stesso tema.

E l’indomani mattina Luigi si è traferito. Ha preparato i bagagli ed è andato in salotto a salutar Itala. Nel mentre io lo aspettavo in cucina per poi uscire assieme. Dopo un paio di minuti è tornato in cucina con la faccia un pò accigliata e mi ha detto:

“A Mà, meno male che me ne sto ‘a annà, sta segnora è proprio strana. M’ha ddetto “A Luì, ma nun te ne annà, resta quà, armeno n’artra settimana…c’è sta pure Fuffy (er cane) che se sta a dispiacè, tell him Fuffy! ” ha ffatto un gesto co a mano e de corpo er cane se è messo a sartà e giocà cun me. Certo che sta segnora è proprio strana. Annamosene va.”

Due secondi dopo Itala è entrata in cucina per il gran finale dicendo:

“Luigi, ma non andare via, dai! resta almeno un altro paio di giorni, almeno per pagarmi la nuova settimana di affitto…”

Silenzio. Io e Luigi ci siamo guardati pronti a scoppiare a ridere e lui ha risposto:

“A Mà, che ddici, annamo?”

“Annamo, annamo”

“A segnò, te saludo!!! Ma o sà che me sto a dispiacé. No perché se stavamo a prenne e misure, mò e cose stavano a funzionà, davero! Eeeee! ‘O se vedemo segnò! Cià! ”

E così Luigi è andato via. A quel punto il bisogno di cambiar casa è diventato più che impellente, e dopo una settimana infatti anche io mi son trasferito.

Luigi lo ho risentito qualche giorno dopo che aveva lasciato la casa di Itala.

“Allora come è la nuova casa?”

“Bella è bella, a stanza è granne, pure troppo! Sta un pò lontana da lavoro, ma che ce devo fa”

“E le spagnole?”

“Ma che spagnole! Qua semo solo maschi, ‘e spagnole sono annade via perchè stavano ne a camera che mò ho preso io”

“E il colloquio per il nuovo lavoro lo hai fatto?” (Prima di trsferirsi stava cercando di organizzare un colloquio per un bar fighetto ai piedi di un grattacielo nella city)

“Fare ‘o fatto, ma me sa che nun è annado bbene”

“Perchè”

“Ma perchè er menager me stava a parlà in inglese, a un certo punto me voleva dì quarche cosa sui giorni de malattia, solo che sta malattia nun la capivo… ”

“E quindi?”

“Quindi per farme capì sta malattia ha dovuto mimà de star male e ha fatto finta de vomità…”

“Mi sa che non ti hanno preso eh?”

“…me sa pure ammé…”